È strettissimo il legame tra i libri e il cibo. Romanzi, racconti, novelle, poesie e testi teatrali citano spesso una specialità culinaria, o l’aroma speciale di un vino, o il gusto di un determinato sapore, e a volte ne decretano il successo.
Basti pensare a uno dei capolavori della letteratura, il monumentale lavoro di Marcel Proust “Alla ricerca del tempo perduto”, che apre le pagine dei sette volumi proprio con un piccolo dolce, la madeleine, che, mangiato dal protagonista, suscita in lui una serie di ricordi e di sensazioni che daranno il via a tutta la fluviale narrazione.
Un altro grande nome del Novecento europeo è nato a Trieste e nella nostra città ha ambientato tutti i suoi scritti: parliamo di Italo Svevo. Di recente un bel libro curato da Alessandro Marzo Magno ha raccontato il rapporto dello scrittore col cibo. Si intitola “Il ricettario di Casa Svevo” e traccia un originale profilo biografico e letterario dell’autore della “Coscienza di Zeno” attraverso i piatti raccolti nel quaderno delle ricette di famiglia. Lo scrittore amava la crema fritta e la torta di ricotta, nota anche col nome tedesco di Käsekuchen, come anche la triestinissima pinza, focaccia dolce che non manca mai in tavola nel periodo pasquale e molti altri dolci.
Curiosa è la presenza del vov di guerra, versione più povera del liquore preparata durante gli anni bellici, e delle tagliatelle diffusesi a Trieste con l’arrivo dell’Italia nel 1918.
La prefazione del libro è firmata da Susanna Tamaro, scrittrice nonché lontana discendente proprio di Italo Svevo. L’autrice torna con la memoria ai pranzi preparati a casa della bisnonna, momenti conviviali in cui lei bambina, circondata da zii e cugini, poteva assaggiare polpettoni e piselli col prosciutto.
Ma poi ecco saltar fuori di nuovo la letteratura: la torta al cioccolato della nonna, una variante della famosa Sacher, amatissima e mai dimenticata, è diventata la torta del romanzo “Va’ dove ti porta il cuore”. Nel famoso libro il dolce segna la storia di
nipote e nonna e non a caso si tratta di un piatto che arriva direttamente dagli affetti più profondi e sinceri, quelli dell’infanzia.
Sempre di scrittori e di cucina parla il volume “I contributi giornalistici di Linuccia Saba tra cibo e letteratura” in cui vengono raccolti gli articoli che la figlia di Umberto Saba e poi compagna di Carlo Levi pubblica sul settimanale Il Punto tra il 1956 e il 1957. C’è posto, naturalmente, per il padre poeta in un’immagine malinconica e triste di lui da vecchio nella cucina di casa. La cucina, in cui per anni era stata preparata ogni sorta di carne per lui, ora è il luogo in cui il poeta si rifugia non tanto per mangiare quanto per svagarsi per qualche minuto: in un angolo del tavolo intinge un po’ di pane in un piatto che contiene burro, salsa di acciughe e sugo di limone, una semplice e scarna invenzione dello stesso Saba. Una volta, invece, erano il bollito, le fugazzette, polpette di manzo, lo stufato, l’arrosto e le seppie a riempire la cucina sempre aperta agli ospiti e il suo stomaco vorace.